Diario di Zona, sesta pagina
A cavallo fra due zone.
Capita spesso che restino poche letture da fare in una zona. Così si porta a termine quello che è rimasto in sospeso, si fanno dei ripassi per recuperare qualche lettura e poi ci si sposta. A volte bisogna fare un po’ di chilometri in sella alla bicicletta (o con i mezzi pubblici o in macchina) per riprendere il lavoro in un’altra zona; ripartire da capo dopo circa tre mesi e vivere una persistente sensazione di déja vù.
Ma non è davvero così. Le persone cambiano, non sempre si incontra chi si è già incontrato e quando comunque accade io non posso non notare l’invecchiamento. Vedo che il tempo ha lasciato il segno del passaggio, riconosco il logorio che ha compiuto nella persona che incontro. Trapela nella lentezza ancora più evidente dei gesti, nelle schiene e nelle spalle un po’ più curve, nella difficoltà di scendere le scale, nei lunghi secondi che i più anziani impiegano a infilare la chiave nella toppa della cantina. E ovviamente mi chiedo quanto sia invecchiato anch’io.
L’uomo che arriva alla fine di un viaggio non è mai lo stesso che era partito. E. Brizzi
Finisco le letture nella 812, inforco la bici e attraverso la città per raggiungere la nuova zona:
862, Quartiere San Paolo: C.so Adriano / C.so Racconigi / C.so Lione / via Braccini
Sono su C.so Inghilterra, solita lotta per restare vivo in strada fra autisti disattenti, frettolosi e stronzi (non tutti, ma molti sì), attraverso C.so Vittorio e in C.so Castelfidardo angolo Officine Grandi Riparazioni mi imbatto nella scultura “I ferrovieri combattenti / La disfatta del nazismo” di Sergio Innocenti.
Il borgo San Paolo è un quartiere verso cui ho provato fin dalla prima volta un moto di simpatia, del tutto immotivato. La quantità di auto lungo i corsi che lo racchiudono è alta, anche qui trovo gente scortese e scorbutica per chissà quale (loro) buona ragione etc etc. Sarà che, come altri quartieri della città, ha zone più raccolte in cui vedo le persone che si salutano in modo familiare, ferme sul marciapiede a raccontarsi qualche novità, sarà questo mi dico, questa dimensione in cui il fantasma della città europea non appare.
La luce è composta da pulviscolo finissimo, bianco. Immagino una nube che incombe sul quartiere e che non solo filtra, ma da spessore alla luce.
Comincio il lavoro da via Lurisia, una traversa di via Paolo Braccini. Molti gli anziani, mi colpisce la loro solitudine. Sarà per la pioggia che viene giù. Non so.
Faccio un po’ fatica, il lavoro procede lentamente. Sento che chi finalmente mi apre il portone e poi la cantina ha bisogno di essere rassicurato perché “sa, con la gente che c’è in giro è meglio non fidarsi”, mi dicono.
Nell’ex area della Fergat c’è la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Faccio la lettura all’interno del cortile dall’ingresso di via Osasco.
Il lavoro non mi permette di compiere scelte. Non posso far finta di niente e non fare la lettura della ditta che si occupa di “custodia / assicurazione / puliture pellicce”. Così inspiro e vado a fare il lavoro.
Il proprietario, suppongo sia il proprietario visto il modo in cui mi accoglie e si muove all’interno dei locali, al mio buongiorno mi chiede “chi la manda? mi faccia vedere il tesserino”. Sorrido, grazie a questo lavoro sto imparando a sorridere, a prendermi i miei tempi e, se è il caso, rispondere. Indico il tesserino che ho appuntato alla giacca e ripeto semplicemente quello che ho detto al citofono poco prima: devo fare la lettura del contatore dell’acqua.
Mi fa entrare.
Porte blindate, laccature in oro ovunque e, in ingresso, un divano enorme LV e relative poltrone, un tavolino anch’esso dorato. Davanti a uno specchio ci sono due signore di circa 60 anni che si stanno provando pellicce.
Mi precede e andiamo nel seminterrato. File di pellicce appese fino al soffitto, condizionatori accesi per mantenere stabile la temperatura e l’umidità. Mi indica l’angolo dove è sistemato il contatore e mi precede lungo corridoi fatti di pellicce. Scatto un paio di foto e chiudo il palmare. Torniamo indietro lungo i corridoi e mi accorgo che non sto respirando, da quando siamo entrati nel seminterrato. Sta diventando automatico andare in apnea quando il luogo dove devo entrare mi fa schifo. Torniamo su, io per primo due gradini alla volta e sento il nervosismo del proprietario che dietro di me sta ancora chiudendo la porta. Attraverso il locale e mi fermo accanto al divano, la porta blindata è chiusa.
Mi raggiunge un po’ in affanno, si sente in dovere di puntualizzare: qui abbiamo roba di valore.
Non per me, dico, saluto e torno fuori a respirare.
Incontro una signora premurosa e gentile, viene giù con lentezza (a causa di una botta al ginocchio) e se ne scusa. Mi chiede se ho mangiato, se ho sete. A volte capita di incontrare persone, spesso anziane ma non solo, che escono totalmente dal modello comportamentale predefinito che vedo all’opera in molte altre persone. Mi aspetta sulla porta della cantina e appena torno su mi chiede se conosco S., suo figlio, che fa il mio stesso lavoro per la SMAT. Lo so che vi trattano male in giro, mi dice.
Anche in questa zona ho il bar preferito, il panettiere, il parco dove fermarmi a mangiare un boccone. Ci sono angoli della città che hanno qualcosa di particolare, a volte è un colore, un odore. A volte la combinazione di nomi assurdi, alcuni li appunto sul mio quaderno, ad esempio c’è un tasto di un citofono di cui ricordo anche la forma e il colore della carta su cui hanno stampato i tre cognomi: Pacchiana / Imperatrice / Avvenente.
La 862 ha un difetto strutturale (solo per me che ci lavoro, naturalmente): è divisa lungo C.so Lione. C’è una faglia fra l’anima popolare che si respira lungo via Modane, via Millio, via Braccini e quella piccolo-borghese (mi si passi il termine) dei palazzi compresi fra c.so Rosselli e c.so Adriatico, dove è impossibile lavorare. Dove, non capisco perché, la percentuale dei contatori letti è inversamente proporzionale a quella delle persone che mi chiudono il citofono in faccia. Pochi i custodi: c’è la signora rumena in largo Orbassano che mi accoglie sempre con un sorriso. Di sé mi dice: Io sono vivace, mi piace vivere. Gli altri si aggiustino.
L’ultima lettura è nel mega condominio costruito nel periodo delle Olimpiadi. Uno dei custodi è calabrese e, dal numero di foto e poster del mare e di Capocolonna attaccati sui muri della portineria, ci metto poco a capire che è di Crotone.
Come tutti i custodi borbotta un po’ quando realizza che deve chiudere tutto e accompagnarmi nel locale autoclave. Andiamo giù, scatto la foto, segno la lettura e il palmare mi segnala che il contatore è fermo.
Funziona? mi chiede.
No, è fermo.
Eh già, è nà vita che è fermo. Loro mandano il forfè e sono sempre nù sacco di soldi.
Va bene, dico, lo segnalo in una nota.
Si ma loro se ne sbattono ì palli, intanto paga, dicenu. Loro hanno ì contanti ‘nta bùggia, è natra cosa.
Monto in bici e torno a casa. Mi immetto nella rotonda di Piazza Marmolada e una signora su un SUV mi taglia la strada con una sicurezza che mi gela. Riesco a evitare il SUV, a tenere il controllo della bici e imboccare C.so Lione. Penso che la gentile signora dall’alto del suo carro armato non mi abbia proprio visto, penso che mi è andata decisamente bene, penso che la campagna salva i ciclisti è necessaria. Penso anche: salva i ciclisti o vattene a ‘fanculo.
Decisamente questa parte della 862 non mi piace.
Torno a casa e in C.so Matteotti incontro la targa con i nomi di:
Luciano Amone,
Mario Borchi,
Silvano Grazia, partigiani.
Anni difficili davanti per tutti i figli di Di Nanni sono un partigiano e sarò chiaro, perché ci si abitua a tutto anche ai fascisti assassini sullo sfondo, doppiopetto in primo piano. (Assalti Frontali)
863, Quartiere San Paolo: C.so Peschiera / C.so Racconigi / Via San Paolo (una parte) / via Di Nanni
Suono al citofono, in molte zone non ci sono troppi tombini e perciò si suona in continuazione a citofoni laccati, sfondati, fischianti, con telecamere, con suonerie orrende, senza tasti, con tasti colorati, con luci abbaglianti, con microfoni rotti e casse scassate, con etichette di carta e infiniti nomi sovrapposti, tutti con il divieto impresso nell’ottone di non suonare per deporre pubblicità in buca ai sensi dell’articolo 633 del cod. penale.
Oh Madonna! mi dice, apre il portone e chiude la comunicazione.
Entro nell’androne e sento i passi nelle scale.
Stavo facendo le pulizie in casa sulla scala sono tutta sudata e arriva lei a rompere!
Mi dice tutta la frase senza prendere fiato, in cima alla prima rampa di scale, in controluce e con i capelli scompigliati. Mi metto a ridere e la seguo. Traffica con tre mazzi di chiavi davanti alla serratura del primo dei tre cancelli che proteggono la cantina.
Abbiamo cancelli e cancelletti qui, mi dice, poi i ladri entrano che è una bellezza.
Rido ancora di più e scendo giù a prendere la lettura.
Giornata piovosa, incrocio due signore, una delle due dice all’altra aggiustandosi il cappuccio della giacca sulla testa:
Come fai a stare bene? Anche il tempo è cambiato.
Finita la guerra si stava così bene. Porco Giuda.
Viene giù in ascensore, all’apertura delle porte mi dice:
Una bella rottura di balle.
Sorrido e dico:
Già, pensi che io alcune mattine neppure mi alzerei dal letto.
Entro con lui nell’ascensore, premo -2 per la cantina.
Dopo la lettura, nell’ascensore guardando il palmare dico: Vediamo dove si va a rompere le balle ora.
Lo guardo, sorride.
Ci sono luoghi di Torino, che ho scoperto grazie a questo lavoro, a cui sono affezionato, uno di questi è la casa von Dante Di Nanni in via San Bernardino 14.
Lo stabile è enorme su C.so Racconigi, uno dei contatori è nel garage. Un’auto è appena uscita e il cancello automatico sta per richiudersi. Entro in garage. Pochi secondi e sono fuori, mi dico. Ma nell’angolo dove sta il contatore è stato ricavato il parcheggio privato del supermercato e la saracinesca è abbassata. Torno su e vado a chiedere le chiavi. Aspetto qualche minuto e arriva un signore, è vestito da operaio come me, mi dice di non sapere dov’è il contatore, lavora per una cooperativa che ha vinto l’appalto per le pulizie a lui hanno dato solo le chiavi.
Torno in garage e nel frattempo si chiacchiera un po’, parliamo del lavoro, mi dice che guadagna 5€ l’ora e la ditta per la quale lavorava prima lo ha licenziato perché è fallita.
Chi ti assume a 50 anni? mi dice. Sono cose che ti piegano le gambe. Così prendi quello che trovi. Ho fatto 200 ore per arrivare a 1000€, la mia collega non fa tutte le domeniche, così faccio io. Ho provato a farmi cambiare il contratto ma non m’hanno nemmeno ascoltato. Questo c’è. Se ti va bene, se no te ne vai. Siamo in 400 in cooperativa, a loro che gliene frega?
Incontro un tipo su C.so Racconigi che parla al telefono con accento sicilianissimo e volume di voce fuori da ogni grazia sonora, dice:
Quando tu chiamare ammè, hai detto andare a prendere numero nùovo.
Sono quasi alla fine, manca poco per chiudere la zona, l’ennesima signora:
Ma non mangiate mai voi? Sempre a quest’ora!
Guardo l’orologio e in effetti sono le 13, non me ne sono accorto e non ho ancora fatto la pausa pranzo. Le chiedo scusa e lei mi apre la porta della cantina.
Prenda numeri piccoli mi raccomando, che abbiamo consumato troppo, mi dice.
Dovreste stare più attenti, dico io.
Sì, dovremmo lavarci a secco mi risponde lei.
Rido e vado giù.
Fra quanto tornate? Mi chiede.
Fra tre mesi circa.
Allora per un po’ mangio tranquilla.
La pioggia continua a venire giù. Inforco la bici, mi fermo a guardare le mie mani appoggiate al manubrio. Penso a mio padre.
Torno a casa.
Il Teatro degli Orrori – Direzioni diverse
Grazie fratello e non ti fermare…è un piacere leggerti…