Diario di Zona, terza pagina
Zona 652, Barriera Aurora: Lungo Dora Napoli / C.so Vercelli / C.so Novara / C.so Giulio Cesare
Non so se è la quarta o la quinta volta che ripasso da questa zona. Si respira ancora aria di periferia, anche se la città tutt’intorno è cresciuta e si estende fino a Settimo Torinese, ma non so come altro definire la sensazione che avverto. Una zona ricca di movimento, di traffico e traffici, dove a case sorvegliate “per ragioni di sicurezza” si alternano casermoni in cui la porta d’accesso è sempre aperta.
Molti capannelli di persone ferme davanti alle porte dei bar, agli angoli delle strade (al 90% maschi, sempre le stesse facce, ormai li riconosco) e mi viene in mente un verso di Gregory Corso: stare fermi all’angolo di una strada senza aspettare nessuno è potere.
Più volte mi son fermato a guardare le Officine Grandi Motori della FIAT che stanno lì in rovina, “teatro dei grandi scioperi antifascisti durante gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale e dell’insurrezione che liberò la città di Torino” e, mi hanno raccontato, in tempi recenti rifugio per senza tetto e migranti. Ho chiesto ad alcuni anziani come fosse vivere lì a due passi dalla fabbrica quando era in funzione, tutti mi hanno parlato del rumore infernale 24h su 24. Lungo il muro su C.so Vercelli ci stanno alcuni murales, uno recita REVOLT, l’altro MAI PIÙ SCHIAVI e c’è una mano che spezza una catena. Ci sono alcuni sacrosanti NO TAV e FUOCO ai CIE e Solidarietà con gli egiziani in rivolta. Di fronte c’è uno stabile chiuso, blindato, inaccessibile come scrivo sul palmare, era un centro sociale.
La fabbrica ora la stanno buttando giù per costruire un nuovo centro commerciale e un complesso residenziale:
It’s evolution baby!
Ho con me La scuola è di tutti di Girolamo De Michele, che ho iniziato a leggere da poco, nelle pause e nei momenti di stasi, quando, ad esempio, la ricerca della chiave della cantina supera i 2′ o quando devo salire fino al 7° piano con l’ascensore.
Un assaggio dall’introduzione a pag.11:
“Mi scuserà, ministro, se non La chiamerò né ‘signora’ né ‘ministra’, e userò il genere neutro per rivolgermi a Lei: ma è il genere che si addice alle funzioni, e in Lei non riesco a vedere nulla in più di una funzionaria.
Se ne farà una ragione, o probabilmente no: Le assicuro che va bene così.
Sono qui, dunque, a narrarLe la vita di un insegnante: sono cose utili da sapere per chi un giorno volesse dirigere un ministero d’istruzione.”
Un libro che consiglio a tutti di leggere, un libro necessario.
Nelle zone in cui lavoro da più tempo tutto scorre un po’ più veloce. So dove è meglio legare la bici, a chi è meglio suonare e chi è preferibile evitare. Impossibile è evitare scene del genere:
Oh Signore! dice al citofono e chiude.
Entro nell’androne e mi chiedo se verrà giù ad aprire la cantina benedetta o se dovrò suonare a qualcun’altro.
Viene giù ciabattando: sempre io, sempre a me chiamano. Stavo dormendo! Perché mi ha suonato?
Ho suonato a tutti, ha risposto lei.
Tutti hanno le chiavi, tutti. I marocchini, i marocchini sono sempre in cantina, e suonano sempre a me.
E gli italiani le chiavi le hanno? Molti mi hanno detto di non averle.
Le hanno, le hanno, ‘stì stronzi!
In via Bra, al n° 8 c’è la targa a Florindo Terzuolo, partigiano.
Al civico 11, appesa alla ringhiera di un balcone all’ultimo piano, c’è un trittico di bandiere: a sx quella della Juve, a dx il tricolore italiano, al centro una col faccione del crapone di Predappio.
Si sappia che di Predappio stimo solo Giorgio Canali e giusto in via Carmagnola mi metto canticchiarne una canzoncina.
In C.so Giulio Cesare, al n° 17 Franceso Pistamiglio , partigiano;
Mi sposto in via Pinerolo dove trovo un gruppo di ragazzi fermi davanti a un portone, hanno steso uno striscione su cui sta scritto che “La casa è di chi la abita”. Lego la bici e mi avvicino, saluto e comincio a pigiare i tasti del citofono. Nessuna risposta. Immagino i condomini che stanno lì a dire “col cazzo che rispondo”, o qualcosa del genere. Chiedo cosa succede. Uno di loro mi dice che sono lì in supporto a una famiglia che ha ricevuto lo sfratto. Solo oggi ce ne sono tre in esecutivo tra C.so Vigevano, via Pinerolo e C.so Brescia.
Che leggi? mi chiede un ragazzo, dai tratti somatici decisamente orientali, guardando la mia giacca da lavoro.
I contatori dell’acqua, faccio io.
No, no, il libro; Cosa leggi?
Tiro fuori il libro che spunta dalla tasca e cominciamo a parlare della scuola, della cosiddetta riforma, dei borsisti che stanno occupando la sede di via verdi 15 e in pochi attimi si crea un capannello di persone che parlano dei romanzi di Evangelisti, De Michele e Wu Ming.
Prendo una pagina in cui rivolgendosi, ancora, al ministro dell’Istruzione cita David Foster Wallace, leggo a pag 30:
“Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo.”
Questa è l’acqua val la pena comprarlo, o prenderlo in prestito, o rubarlo e leggerlo tutto.
Arriva un ufficiale del tribunale (credo), che viene accompagnato da uno dei ragazzi dalla famiglia che riceve la proroga di un mese (28/02). Lo striscione viene raccolto e i ragazzi si spostano, per lo più in bici, sui due restanti presidi. Arrivano anche i carabinieri che cominciano a parlare con l’ufficiale del tribunale e con i proprietari della casa:
Vanno preparate prima queste cose, dice l’ufficiale, se c’è tutta questa gente non si può fare niente.
Mi raccomando, dice la proprietaria, che ci siano più agenti il 28.
Continuo a suonare al citofono, poi mi dico che è meglio se vado a suonare direttamente alle porte delle case. E qualcuno, finalmente, si decide a rispondere.
Continuo il giro, torno su C.so Vercelli, cammino e lavoro lungo il pezzo di C.so Novara e comincio la parte finale: C.so Giulio Cesare. All’angolo con via Bra c’è la scritta Rage Contre La Police Assassine!
Al 45 c’è un edificio chiuso. Ricordo che era messo male. Le scale e l’androne che avevano decisamente bisogno di una pulita e la cantina… beh, la cantina è in uno stato di schifo tale che dovrei essere pagato l’equivalente di una settimana di lavoro solo per il fatto di entrarci.
Comunque è tutto chiuso, sto cercando di capire cosa fare, quando si ferma un tipo e mi dice:
Eh no no! L’hanno sgomberato, son venuti di notte e hanno portato via tutti i maramao.
Maramao?
Sì si, maramao! Come si dice? Estracomunitari, cine, neri; senza permessi, senza lavoro; e li hanno portati via con le macchine.
Dove?
Mah! Via, li hanno portati via. Pure lì, al 2, stamattina alle 6 sono venuti e hanno preso tutti i maramao. Sono rimasti solo italiani.
Penso che il signore abbia compiuto con Maramao una italianizzazione di Mau Mau
Zona 658, Borgo Vittoria / Barriera di Milano: C.so Venezia / C.so Vigevano / via Valprato / via Cigna
Di questa zona mi ha sempre colpito l’alto numero di targhe dedicate a partigiani e caduti durante la liberazione di Torino:
C.so Vigevano:
Luigi Bongiovanni, Autista;
Edoardo Ramonelli, Tecnico;
Maggiorino Morando, Operaio;
Via Parella:
Giovanni Ansaldi, Sorvegliante;
Mi ritrovo sul palmare una nuova pagina, sempre in C.so Venezia ma dal lato dei numeri dispari, a volte capita che una “lettura” catalogata come “speciale” (dove stia questa specialità non l’ho ancora capito, forse nel modo di fatturare, non so) sia fatta rientrare in quelle “normali”, niente di che se non che a volte bisogna fare un giro diverso, allungare di parecchie centinaia di metri, insomma a volte può essere un po’ un fastidio. Prendo la bici e supero il ponte sotto cui scorre il passante ferroviario di Torino, la spina 4 per essere precisi. Il contatore è quello di un ostello gestito dal comune, ma qualcosa mi dice che le foto appese alle pareti raccontano una storia più interessante: quella della fabbrica Elli Zerboni, sede del Comando dell’8° Brigata SAP Osvaldo Alasonatti, e dei suoi operai.
Mi appunto i nomi di:
Edi Franchetti, partigiano;
Ettore Valli, partigiano;
Come segno di continuità poco più in la, su un muretto che fa angolo con via Stradella, c’è una scritta che recita: Fuori i fascisti dal quartiere.
Come a ricordare che, anche se la battaglia fu vinta il 27 aprile del 1945 e Borgo Vittoria venne liberato, ancora qualcosa resta da fare.
Zona 665: Barriera di Milano: C.so Novara / via Aosta / via Ponchielli / via Bologna
Incontro alcuni ragazzi che sono appena usciti da scuola, avranno 14/15 anni, uno dice all’altro:
Il fatto di non sapere un cazzo mi da la certezza di sapere che non so un cazzo.
Però a consapevolezza è messo bene.
In via Leoncavallo c’è la biblioteca civica Primo Levi, di fronte la chiesa dedicata a Gesù operaio. Il parroco mi racconta dell’evoluzione del quartiere, degli anni in cui le strade erano pattugliate da bande di ragazzini, dell’eroina negli anni ’80, fino a oggi in cui le case sono piene di vecchi.
In biblioteca, in attesa delle chiavi del locale caldaie burocraticamente in custodia di non so che addetto che dev’essere chiamato da non so quale collega, mi aggiro fra gli scaffali sperando di incontrare un bel libro da prendere in prestito. Trovare un buon libro è sempre un incontro e nel frattempo osservo la fauna che occupa i tavoli: ci sono studenti, ci sono anziani che leggono i giornali, ci sono persone che a me danno l’impressione di essere lì perché in giro non ci sono altri posti dove poter stare al caldo e con un bagno pulito a disposizione. Le biblioteche svolgono senza dubbio una funzione civica a 360°.
Torno per strada cercando di evitare le lastre di ghiaccio. Suono all’ennesimo citofono e spunta dalla finestra una signora. Mi guarda e rientrando mi dice “un attimo”.
Apre il portone, entro.
Io m’affaccio sempre, mi dice mentre ancora sta scendendo le scale, c’è il citofono ma m’affaccio che l’altra volta sono rimasta fregata.
Che è successo?
Uno ha detto che era dell’Italgas e poi era un marocchino.
E che c’entra?
Niente, ho paura.
Sì, ma cos’è successo?
Voleva vendere, Vù Cumprà? Vù Cumprà? scatole, scatolette che hanno loro.
Quindi era una solo persona che stava lavorando.
Sì, ma io ho paura.
See… vabbè.
Certo non tutti argomentano così, però è pesante. E quando poi è evidente che c’è poco altro da fare e dire, per non arrabbiarmi inutilmente, comincio a fischiare stonato l’aria di Papageno.