Note su Don in Paradiso / La Serial Killer di George Tabori
Siamo andate in scena in prima nazionale a fine maggio e – triste ma vero – talmente prese da non essere nemmeno riuscite a realizzare non dico un programma di sala, ma almeno un foglio…
Recupero quindi, riportando queste note sulla nostra mise en espace, di cui si possono vedere foto di scena su flickr e ora anche un breve demo su YouTube.
Credits first:
DON IN PARADISO / LA SERIAL KILLER di George Tabori
traduzione di Roberta Cortese
mise en espace di e con Roberta Cortese e Simona Nasi
sonorizzazione dal vivo Angelo Conto
abito “Kalì” di Loredana Gelli
con il sostegno di Centro Culturale Italo-Austriaco di Genova – Forum di Cultura Austriaca di Milano
e di A.C.T.I. Teatri Indipendenti Torino – prima nazionale 25.05.2011 S.Pietro in Vincoli Torino
Dallo sceneggiatore di Io confesso di Alfred Hitchcock e dall’autore di The Cannibals e Mein Kampf: due atti unici, due riflessioni sul ridicolo della morte e delle sue infinite variazioni.
George Tabori (1914-2007), drammaturgo, regista teatrale e sceneggiatore di origine ungherese, per via delle sue origini ebree emigra prima a Londra e poi negli USA (dove scrive per Hitchcock, Losey, Young e Siegel); scrive romanzi e racconti e torna poi in Europa, dove inizia la sua attività di regista lirico e di prosa.
Questi due testi fanno parte del trittico La serial killer e i suoi amici (1995). Don in paradiso è ambientato in una Venezia-cloaca, dove Don John, un Don Giovanni invecchiato, mezzo cieco e mezzo sordo, detta il suo necrologio a una sgualdrina, rettificando falsi e svelando la malinconica realtà delle sue conquiste, tutte tese alla disperata ricerca di tornare là da dove era venuto.
Ne La serial killer, ora X per la sedia elettrica: protagonista una pluriomicida con la promessa di una commutazione di pena, a patto che riesca a convincere il pubblico “di avere agito in ogni singolo caso animata dalle migliori intenzioni”. Come nelle strofe di una ballata, la serial killer inizia la sua arringa difensiva, rivelandosi poco alla volta una tragicomica Madame La Mort.
Una scrittura, quella di Tabori, che sa alternare cinismo e poesia, con un linguaggio spesso musicale e in cui le aperture oniriche diventano, pare, quasi salvifiche per i personaggi, generando però una catarsi ‘triste’.
Partendo da un altrettanto triste disponibilità di mezzi economici, si è deciso di sfruttare il limite per rendere quanto di scarno e di essenziale è nei testi, in cui è padrona la parola: sul palco una sedia a rotelle, una lampada a stelo, una plafoniera al neon per la ribalta.
Si sono seguite due tracce. Da un lato la ricerca sul materiale video, con rimando indiretto al lavoro di Tabori sceneggiatore; dall’altro la ricerca musicale, tradotta in modi e con risultati differenti, ma accomunati da una voluta fedeltà al racconto.
L’obiettivo da raggiungere: un vecchio film muto con musiche dal vivo, i cui personaggi sono usciti dallo schermo per raccontare al pubblico le loro storie.
I video creano l’ambiente. Ma portano anche indietro nel tempo, agli albori della Storia del Cinema in cui ancora lo scorrere dei fotogrammi fissava le immagini con un che di spettrale, di ‘mortale’ nella loro precarietà. Un ritorno al grembo materno tanto desiderato da Don John (dietro cui scorrono i frames di una cronofotografia di Muybridge) e una sorta di excursus per la serial killer: una carrellata parallela a quella dei presunti delitti, via via sempre meno delitti e sempre più necessità. Frammenti da i Lumière, Buñuel, Man Ray; la carrellata si chiude con la moderna e nostalgica animazione di Teruhiko FUJII, che, per inciso, ci è sembrato il modo meno didascalico per rimandare al tema della shoà, presente in tutta la produzione di Tabori e, qui, nell’ultima scena della Serial Killer.
La musica segue e scandisce il racconto. Don John è legato a due predecessori: quello mozartiano (di Mozart però si è scelto il Requiem) e quello felliniano, da cui le musiche di Nino Rota. Il monologo diventa melologo, e Mozart e Rota contribuiscono all’esaltazione del cinismo e del ridicolo della perfezione. Con la serial killer la musica è dal vivo, grazie al pianista jazz Angelo Conto. Spesso improvvisata, con parti cantate, rielaborazioni kitsch al limite tra grottesco e ridicolo (come del resto in tutto il testo), la musica segue qui un percorso ‘per disgregazione’, ‘rarefazione’, ed è sostegno fondamentale a un testo dall’abbrivio cabarettistico – quindi apparentemente comico e ‘semplice’ – ma che chiude riflessivo e malinconico, quasi trascrizione del sogno di un clown triste.