Wolferl a Bäsle, 5ª lettera
5ª lettera (432)
[Mannheim, 28. 2. 1778]
Mademoiselle
ma très chère Cousine!
forse lei penserà o crederà invero che sia morto! — che sia crepato? – o andato del tutto? – ma no! non lo pensi, la prego; perché pensato e cagato son due cose diverse! – come potrei scrivere così bene se fossi morto? – come sarebbe possibile? — del mio lungo silenzio non voglio neppure scusarmi, tanto lei non mi crederebbe; ma quel che è vero è vero! – ho avuto talmente da fare che c’è stato, sì, il tempo per pensare alla cuginetta, ma non per scriverle, sicché ho dovuto lasciar perdere.
Ora ho l’onore di chiederle, come si trova e come si porta? – va sempre di corpo regolarmente? – non avrà mica la rogna al presente? — mi sopporta ancora un pochetto? – scrive spesso con un gessetto? – le capita talvolta di pensarmi? – ha mai avuto voglia d’impiccarsi? – non sarà mica arrabbiata? con me povero diavolo; se da brava la pace non vuol fare, sul mio onore non mi resterà che mollare! ma lei ride — victoria! — i nostri culi saranno il segno della pace! – lo sapevo che non avrebbe saputo resistermi. si si, la cosa è assicurata, dovessi ancor oggi far una gran cagata, benché vada a parigi alla 14esima giornata. se dunque lei rispondermi vorrà, dalla città di Augusta, là, in fretta allora lei mi scriva, perché io la riceva, la missiva, che se altrimenti il viaggio mio riattacca, al posto della lettera, ricevo una gran cacca. cacca! – – cacca! – o cacca! – o dolce parola! – cacca! – pappa! – bella questa! – cacca, pappa! – cacca! – lecca – o charmante! – cacca, lecca! – mi piace! – cacca, pappa e lecca! – pappa cacca, e lecca cacca! — Ora per passare ad altro; si è già divertita per bene questo carnevale? ad asburgo ci si diverte molto più che qui. vorrei tanto essere lì da lei, così da fare quattro salti come si deve. La mia mamma ed io mandiamo i saluti al sig. padre e alla signora madre, assieme alla cuginetta, e speriamo che tutti e 3 stiano bene e in buona salute. noi lo siamo, grazie a dio. non ci credo. tanto meglio, meglio tanto. a propós: come va con la lingua francese? – potrò scriverle presto una lettera tutta francese? – da Parigi, non è vero? – e mi dica, ce l’ha ancora lo spunicunifait? – ci credo bene. Ora, prima di chiudere, perché devo presto terminare, perché ho fretta, perché non ho proprio niente da fare; e poi anche perché non c’è più spazio, come vede; la carta è quasi finita; e sono anche già stanco; le dita mi bruciano a forza di scrivere; e infine non saprei neppure, se anche ci fosse davvero ancora spazio, che cos’altro scriverle, se non la storia, che ho intenzione di raccontarle. ascolti dunque. non è molto che questo è accaduto; è avvenuto qui nel paese. ha fatto anche molto scalpore, perché sembra impossibile; detto tra noi, non si sa nemmeno come sia andata a finire. allora, per farla breve, c’era, a circa 4 ore da qui, il luogo non lo ricordo — era un villaggio o qualcosa del genere; insomma, questa è bella, se era tribsterill dove la merda cola nel mare, o burmesquick dove si girano i buchi del culo curvi*; con una parola, era un posto. e lì c’era un pastore o pecoraio, che era già piuttosto vecchio, ma ancora robusto e forte di aspetto, era celibe, e benestante, e viveva felice e contento. già, devo premettere anche questo prima di raccontare la storia: quando parlava aveva un tono di voce orribile, c’era sempre da spaventarsi, quando lo si sentiva parlare. Insomma, per farla breve, deve sapere – aveva anche un cane che si chiamava Bellot, un cane grosso e molto bello, bianco con macchie nere. Insomma, un giorno, camminava con le sue pecore, di cui ne aveva 11 mila; aveva un bastone in mano, con un bel nastro rosa. perché non andava mai in giro senza bastone. era una sua abitudine; ma avanti. aveva camminato per un’ora buona, per cui era stanco e si sedette accanto ad un fiume. Finalmente si addormentò, e sognò di avere perduto le sue pecore e si sveglio dallo spavento, ma con sua grande gioia rivide tutte le sue pecore. finalmente si alzò e riprese a camminare, ma non per molto; perché doveva essere passata appena una mezz’ora, quando arrivò ad un ponte, che era molto lungo, ma ben protetto su entrambi i lati, così che non si potesse cadere. allora guardò il suo gregge; e poiché doveva arrivare dall’altra parte, cominciò a spingere avanti le sue 11 mila pecore.
Ora abbia la bontà di attendere che le 11 mila pecore siano passate dall’altra parte, poi finirò di raccontarle la storia. gliel’avevo detto che non se ne sapeva ancora la fine. spero però che per quando le scriverò di nuovo siano senz’altro passate; se no, a me non importa comunque un bel niente; fosse stato per me potevano restare dall’altra parte. lei deve accontentarsi così per il momento; quello che sapevo, gliel’ho scritto. ed è meglio che abbia chiuso così, piuttosto di inventarci su qualcosa. in quel modo non avrebbe creduto all’intera storia, ma così — non crederà nemmeno alla metà. ora devo terminare, per quanto mi faccia dispiacere, chi comincia deve pure cessare, se non vuole la gente disturbare, a tutti i miei amici i complimenti di rito, e chi non ci crede mi lecchi all’infinito, d’ora innanzi e per sempre, finché non divengo intelligente. da leccare ne avrà certo per tanto, mi prende già l’angoscia nel frattempo, temo che la merda se ne voglia uscire, e lui non abbia abbastanza da gustare. Adieu cuginetta. sono, ero, sarei, sono stato, ero stato, sarei stato, o se fossi, o che io fossi, volesse dio che fossi, sarei, sarò, se fossi, o che io fossi, fui stato, sarò stato, o se fossi stato, o che fossi stato, volessedio che fossi stato cosa? – uno stoccafisso.
addieu ma chére Cousine, indove? – rimango il cugino sincero
Wolfgang Amadé Mozart
Mannheim il 28 febbraio 1778
*“tribsterill” e “burmesquick” sono deformazioni di toponimi realmente esistenti: Treffentrill e Wurmannsquick.